La storia della fondazione
La storia del castello
Non sono molte le tracce rimaste del castello originario: quello che vediamo oggi è il risultato di una radicale trasformazione avvenuta nei primi anni del 1900, per volontà dell’allora proprietario G.G. Morando. Fu costruito dalla antica e potente famiglia Emili che, tra le altre, possedeva grandi proprietà terriere distribuite nei territori di Navate, Lograto e Maclodio. Nei pressi del castello furono trovati reperti che fanno supporre che lo stesso edificio fosse stato costruito nel luogo dove sorgeva l’antica domus. Infatti, nel XV secolo, l’archeologo Ferrarini segnalava di aver visto nel parco del castello, la pietra con i fasci littori dei consoli.
In seguito alle divisioni ereditarie la proprietà non fu più appannaggio di una sola famiglia: nell’estimo del 1641 parte del castello risultava dei fratelli Ottavio e Fabrizio Emili di Francesco, parte di Fabio Emili di Gistiniano, e metà della stessa costruzione apparteneva a Marco Secco di Orazio, erede di Agostino Emili. Marco Secco vendette la sua priprietà a G. Battista Calini.
Eredi Emili e Calini continuarono a possedere la parte loro assegnata degli edifici che costituivano il castello, fino a quando morì Antonio di Ottavio, l’ultimo rappresentante della famiglia Emili di Lograto. Nel catasto napoleonico del 1809 egli risultava ancora proprietario di una pozione del fabbricato del castello, così come di altri stabili in paese: nel 1815 dispose per testamento che le sue proprietà fossero destinate all’ospedale di Brescia. Il castello fu in seguito completamente acquistato dai conti Calini. In paese, in contrapposizione al declino degli Emili, si verificò un incremento della potenza dei conti Calini, che già nel 1500 cominciarono a porre le basi di quella struttura complessa chiamata villa o palazzo.
Sia il castello, sia il palazzo furono residenze di villeggiatura di nobili, che avevano investito i loro capitali nell’agricoltura. Attorno a queste case ruotò gran parte dell’economia e di conseguenza dell’edilizia locale: si costruì infatti una serie di grandi e medie corti, che segnarono l’aspetto del centro storico di Lograto. Accanto al castello sorsero diverse cascine: il Torcolo, dove si torchiavano i semi da olio, la Martina, che aveva perso il nome da Martino Calini, la cascina Emili, adiacente alla chiesa, la Cortina 1 e la Cortina 2 (ex proprietà Chiari) in via Tito Speri. Anche la cascina Fitti, sulla strada provinciale SP BS 235, era dei Calini del castello. Al palazzo si appoggiarono invece le vaste cascine Restello e Palazzo, nonché la casa padronale dei Bonetti e altre case e corti più piccole. Non bisogna inoltre dimenticare che la maggior parte della cascine sparse nel territorio era sempre di proprietà dei Calini: quindi sia il castello, sia il palazzo costituirono centri di potere da cui partivano le direttive che regolavano la vita economica locale, impermiata sull’agricoltura. Ambedue le residenze nella prima metà del novecento, per volontà dell’ultima proprietaria, diventarono sede di centri di assistenza, cambiando radicalmente la loro funzione iniziale.
I nobili a Lograto
A partire dal 1400 gran parte delle proprietà terriere ritenute una rendita stabile e sicura, si concentrò nelle mani dei nobili cittadini.
Questa corsa all’acquisto della terra e il conseguente investimento di capitali nell’agricoltura ebbero ripercussioni decisamente positive per l’economia locale. Proprio in quegli anni furono derivate numerose rogge dal fiume Oglio; si scavò una fitta rete di canali e fossati, alcuni dei quali ancora oggi solcano la pianura di Lograto, come il Baioncello, la Castrina, l’Alta e la Bassa Calina. Per avviare e portare a termine tutte queste opere idrauliche e per rinnovare l’agricoltura, servivano ingenti risorse economiche, di cui disponevano solo i nobili o i ricchi borghesi. Nel nostro paese la borghesia ebbe un ruolo secondario, almeno fino alla seconda metà dell’800, quando le famiglie nobili cominciarono a vendere le terre. Pertanto come si può leggere negli estimi e nei catasti del tempo, furono gli aristocratici a dividersi le proprietà locali. I più importanti e potenti nobili locali furono prima gli Emili, poi i Calini e i loro eredi.
Gli Emili
Antichissima famiglia di nobili, con vasti possedimenti nella pianura bresciana, gli Emili acquisirono negli anni una crescente potenza economica e politica, amministrando i beni ecclesiastici, come ad esempio quelli della Pieve di Lograto o del monastero di Rodengo.
Da Milino di Pietro discese il ramo degli Emili di Lograto e Maclodio, che possedevano nel 1400 il castello, i fondi intorno a Navate, alla Pieve, a San Giovanni in Rovereto.
Le proprietà locali, nel corso dei secoli, via via si assottigliarono, dividendosi e disperdendosi nelle eredità dei vari rami in cui si suddivise la famiglia, che comunque riuscì a mantenere case e terre nel nostro paese fino ai primi del 1800, quando si estinse. L’ultimo discendente degli Emili segnalato nel catasto napoleonico è Antonio che, con testamento del 1815, lasciò le sue proprietà all’Ospedale Maggiore di Brescia. In seguito alcune di esse, tra cui la cascina Emili vicino alla chiesa e il mulimo Emili in Maclodio, saranno acquistate, con le rispettive dotazioni fondiarie, dal conte Morando.
I Calini di Lograto
Non si può parlare di Lograto senza considerare la famiglia dei conti Calini, una delle più antiche e potenti di Brescia e del bresciano. Faremo qui riferimento solo ai due rami che ebbero proprietà, svilupparono attività economiche ed influenzarono le vicende del nostro paese.
Nel 1534 Vincenzo Calini di Filippo, con un fedecommesso nel suo testamento, impose una linea di condotta che la famiglia rispettò per quasi tre secoli: per non disperdere il patrimonio familiare, che doveva essere trasmesso pressoché indiviso all’erede maschio prescelto, si limitava il numero dei figli che potevano sposarsi, lasciando agli altri la scelta tra il celibato e il convento. Nel caso non ci fosse discendenza diretta, il patrimonio doveva rimanere in famiglia, trasmesso al parente più prossimo. In questo modo, grazie anche ad una oculata strategia matrimoniale, fu possibile mantenere ed aumentare le proprietà della famiglia.
Il capostipite comune delle due famiglie logratesi fu Vincenzo Calini di Camillo, nipote del suo omonimo, sopra ricordato. Nato il 1 Gennaio 1564, sposò Teodora Martinengo della Motella, che, rimasta vedova nel 1613, trascorse il resto della sua vita a Lograto. Due dei loro figli, G. Battista ed Orazio, si divisero case e terre in questa zona.
Calini del castello
G. Battista Calini, nato nel 1587, decise di vendere al fratello Orazio l’ala del palazzo che aveva ereditato e poi si stabilì in castello, dopo aver acquistato la parte di Marco Secco, uno dei proprietari. Sposò prima Giulia Avogadro, poi Porzia Matinengo. Nel 1629 fu nominato sovrintendente delle terre e delle genti di Lograto, Berlingo, Maclodio, Castrezzato, Trenzano, Ognato e Torbole per vigilare durante la discesa dei Lanzichenecchi. Suo figlio Vincenzo Ghirardo (1628-1685) sposò Maddalena Calini, che rimasta vedova, amministrò con oculatezza il patrimonio familiare e restaurò il castello. Il figlio Giovanni (1672-1712) convolò a nozze con Paola Fenaroli, dalla quale ebbe Annibale (1706-1790), che fu consigliere e presidente dei giudici colleggiati della città. Dal matrimonio di quest’ultimo con Paola Martinengo da Barco nacque Giovanni (1756-1841) e con il quale si esistinse questo ramo dei Calini, per mancanza di discendenti. Giovanni studiò a bologna e fu avvocato del comune di Brescia. Nel 1800 fu a Milano nel minestero delle finanze, capitano comandante la X compagnia degli Usseri: nel 1805 ebbe il comando della guardia di onore di Napoleone; successivamente, nel 1807, ricevette la nomina a comandante della guardia nazionale del dipartimnento del Mella e nel 1810 diventò barone del Regno d’Italia. Fu anche sindaco di diversi paesi, tra i quali Lograto con Berlingo e Maclodio. Fautore delle nuove idee scaturite dalla rivoluzione francese che aveva abolito, tra le altre cose, il fedecommesso, quando morì invece di rispettare le volonta dell’antenato e lasciare le sue proprietà alla famiglia Calini, istituì erede universale delle sue sostanze la moglie Annetta Bolognini.
Annetta (1782-1869), figlia di Giovanni Giacomo e di Anna Margherita Pallavicino Trivulzio, era cugina di Alessandro, Pietro e Carlo Verri. I primi due cugini erano scrittori e facevano parte di un famoso gruppo di illuministi lombardi mentre Carlo, nel 1802, divenne prefetto di Brescia. Proprio in quegli anni la contessa Bolognini aprì in città il suo salotto, ubicato al numero 5 dell’attuale via Cairoli, ad artisti e letterati, tra cui si ricordano Vincenzo Monti ed Ugo Foscolo. Annetta sostenne economicamente le scuole di disegno e di lavori, ma si dedicò in particolar modo all’istruzione infantile, tanto che nel 1858 l’Ateneo le assegnò una meglia d’oro per la sua opera filantropica. La contessa lasciò le sue proprietà alla nipote Clotilde Pia Bolognini, la quale a sua voltà nomino erede universale il figlio Giangiacomo Morando. Quest’ultimo, alla sua morte (1919), fece testamento a favore della moglie Lydia Caprara, che si spense nel 1945, lasciando il castello e i fondi annessi a favore di un orfanotrofio femminile.
Cenni della storia della fondazione
La storia dell’attuale “Fondazione conti Lydia e G.Giacomo Morando Attendolo Bolognini” affonda le sue radici nel lontano 1922, quando, con decreto del 21 dicembre, nasce l’Ente morale” Orfanatrofio Morando Attendolo Bolognini” per iniziativa della contessa Lydia Caprara di Montalba vedova Morando.
Con atto 5 settembre 1922, a rogito notaio Mauro Pavoni, la contessa donò il palazzo di Lograto con le sue adiacenze e la somma di £.500.000 in titoli di stato, per l’accoglienza e l’educazione degli orfani dei contadini della provincia di Brescia ed in particolare di Lograto e Maclodio. Aveva voluto così tener viva la memoria del marito, morto nel 1919, che le aveva raccomandato di investire parte dei suoi beni in opere di beneficenza.
La villa-palazzo era stata costruita nell’arco di quattro secoli dal 1500 al 1800 dalla famiglia Calini, che disponeva di vaste proprietà terriere in Lograto. Venduta ai primi dell’800, era stata acquistata nel 1888 dal conte Morando, che non l’aveva mai abitata, preferendo per i suoi soggiorni in paese, il castello.
Nel 1917 la villa aveva già accolto un cospicuo numero di profughi veneti, dopo la rotta di Caporetto.
Dal 1922 si convertì in orfanotrofio, ospitando in un’ala anche l’asilo infantile e l’ambulatorio medico, sempre per disposizione testamentaria della benefattrice. Il campo antistante la villa, detto Bersò, di circa 6 piò, fu invece concesso in affitto e di solito coltivato a mais.
L’Ente morale fu amministrato, secondo statuto, da una commissione così composta: due membri di diritto (la contessa ed il senatore Ugo da Como, esecutore testamentario del conte Morando), un membro nominato dal consiglio comunale di Lograto, un membro nominato dal consiglio provinciale di Brescia, tre membri nominati dal prefetto di Brescia, di cui uno scelto tra i funzionari della amministrazione scolastica provinciale. La commissione, guidata da un presidente eletto dai consiglieri, rimaneva in carica 4 anni. Le prime sedute si tennero a Lograto, ma le successive si svolsero nella sede delle Opere Pie in via Moretto a Brescia, poi a palazzo Broletto e dal 1977 nel castello di Lograto.
Il numero degli orfani assistiti, bambini tra i 3 e i 10 anni, variava di anno in anno, ma in genere si aggirava sui quaranta, cinquanta. La maggior parte era a carico del Comitato provinciale orfani di guerra, altri usufruivano del lascito o di donazioni private. In media, nel 1923, ogni ospite costava £. 6 al giorno. Ma i bilanci dell’Ente, fin dai primi anni di gestione, chiusero in passivo, perché le spese per l’assistenza erano notevoli e soprattutto onerosi i costi per adeguare la struttura alla nuova funzione. Dai bilanci annuali emergono i numerosi esborsi in denaro della contessa, sia per permettere agli orfani vacanze estive a Zone, sia per rinnovare biancheria, vestiario, elementi di arredo, sia per i doni durante le varie festività. Dopo alcuni anni, anche i Comuni di provenienza degli orfani furono chiamati a contribuire alle spese, ma spesso questi appelli rimasero inascoltati a causa dei magri bilanci comunali. Vennero allora coinvolte associazioni caritative come la Congrega della Carità apostolica con il “Fondo Bonoris”, l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia(ONMI), poi le banche, l’associazione industriali, ecc.
Consapevole delle difficoltà economiche incontrate dall’Ente da lei voluto, la contessa Lydia Caprara alla sua morte, avvenuta il 30 gennaio del 1945, integrò il suo primitivo lascito locale, aggiungendovi il castello col parco circostante, le cascine Godi e Restello con 315 piò di terra e infine la cascina Torcolo con 29 piò. Il palazzo ed il castello dal 1943 erano stati requisiti dalla Guardia Nazionale Repubblicana per allestirvi un ospedale da campo, arrecando danni alle strutture. La commissione amministratrice, insediatasi nel secondo dopoguerra, chiese il risarcimento dei danni agli organi competenti e, sempre dando seguito alle ultime volontà della contessa, aprì in castello un orfanotrofio femminile. Le prime ragazze affidate alle suore dorotee da Cemmo furono ospitate nella struttura, appositamente adeguata alla nuova funzione, nel 1947. A partire da quest’anno e fino al 1963/64 le orfane frequentarono una scuola elementare interna, poi furono inserite nelle classi statali del paese, mentre in castello fu inaugurata una sezione di scuola media unificata televisiva che durò tre anni. Contemporaneamente, accanto a corsi di avviamento professionale femminile, frequentati anche da alunne esterne, entrarono in funzione laboratori di maglieria, corsi di taglio, ricamo, confezione. Tutte queste attività terminarono nel 1966, quando nelle stesse aule fu aperta la Scuola media statale di Lograto, come sezione staccata di Trenzano.
Nella villa intanto, considerata la progressiva e costante diminuzione del numero degli orfani, nel giugno 1967, la commissione decise di chiudere l’orfanotrofio, per lasciare spazio a una nuova esperienza: l’Istituto medico psico-pedagogico con annessa scuola speciale. Una decina d’anni dopo, la legge che prevedeva l’inserimento e l’integrazione dei ragazzi portatori di handicap nelle classi comuni, segnò la fine anche di questo esperimento d’avanguardia. In villa si insediò per alcuni anni un CSE, ma la struttura che abbisognava di urgenti interventi di manutenzione e restauro fu venduta negli anni ’80 al Comune di Lograto, che, dopo le opportune opere, vi stabilì la sede del Municipio.
In castello il numero sempre più esiguo delle orfane, portò le suore ad inaugurare nel 1975 un convitto casa-famiglia, aperto anche ai bisogni del territorio, con il doposcuola e la refezione per i bambini delle scuole del paese. Ma nel 1990 anche questo Istituto chiuse e le suore vennero ritirate. Nella parte padronale fu aperta, dopo le opportune ristrutturazioni, una comunità alloggio per minori, mentre nella parte rustica cominciarono a funzionare ambulatori medici, un centro diurno integrato e la sede della Fondazione.
Attualmente i beni immobili della Fondazione comprendono i terreni legati alla cascina Restello, il Castello e il parco circostante. Tutte le altre proprietà nel tempo furono alienate, per coprire le spese derivanti dal mantenimento delle varie istituzioni benefiche citate e per la costruzione dell’asilo. Ogni operazione fu tuttavia effettuata, rispettando le intenzioni e lo spirito che avevano animato la volontà della benefattrice.
Nel terreno antistante la villa fu edificato nel 1920 il monumento dei Caduti e nel 1963 aprì i battenti la nuova Scuola materna.
La cascina Restello fu acquistata negli anni ’70 dal Comune, che vi ricavò appartamenti per gli anziani e la sede della nuova scuola media.
La cascina Torcolo venduta al Comune, diventò sede degli ambulatori medici e della biblioteca, intitolata alla contessa Lydia Caprara di Montalba.
La cascina Godi con i terreni annessi fu venduta alla famiglia Ferrari, che ne era da anni affittuaria.